Le api sono un elemento portante della nostra esistenza. Impollinando i fiori, le piante e gli alberi ci permettono di respirare, mangiare, sopravvivere. La graduale scomparsa delle api è un problema ormai consolidato: le api selvatiche sono pian piano scomparse a causa di fattori tra cui
il cambiamento climatico
l’uso di pesticidi
malattie e parassiti arrivati in seguito alla globalizzazione
la mancanza di ambienti naturali dove vivere
mentre le api mellifere sono ancora tra noi grazie al lavoro degli apicoltori che sono diventati loro tutori e protettori.
In passato avere delle arnie era considerato un lavoro semplice: ogni famiglia di campagna aveva piccoli alveari che inseriva in qualche avanzo di terra difficile da coltivare, con poche visite all’anno e una lavorazione basilare. Con il tempo il processo si è man mano industrializzato, affinando le tecniche e permettendo di sviluppare un settore che solo in Italia occupa più di 50.000 lavoratori.
Fortunatamente la cultura italiana è lontana dalle pratiche di massimizzazione del profitto presenti in altri paesi del mondo e gli apicoltori continuano a svolgere nella gran parte dei casi un ruolo decisivo nella cura delle api. Il modello attuale presenta però problematiche e difficoltà, che necessitano di soluzioni e nuovi sviluppi.
L’apicoltura Oggi
Api
Il benessere dell’ape è un tema complesso, che da sempre accende il dibattito tra la comunità degli apicoltori e diverse fazioni di animalisti. Se è infatti vero che alcuni apicoltori utilizzano ancora l’alimentazione forzata tramite sciroppo di glucosio per aumentare la produzione, è altrettanto vero che molti apicoltori non condividono questa scelta.
Esistono però dei paradigmi che sfortunatamente limitano il comportamento naturale dell’ape, paradigmi che forse vengono dati per scontati. La presenza dei telaini all’interno dell’arnia, ad esempio, obbliga le api a costruire l’alveare dal centro verso la periferia in una maniera per loro assolutamente innaturale; inoltre spesso viene loro impedito di sciamare e creare un nuovo alveare come vorrebbero, sostituendo l’ape regina vecchia con una più giovane – allevata in batteria insieme ad altre centinaia di api regine. Questo metodo di gestione delle api regine ha consentito di selezionare le api più performanti per l’apicoltore ma ha anche contribuito alla perdita di diversità genetica, con effetti fortemente penalizzanti per le specie autoctone e per la loro resistenza ai patogeni.
Ecosistema e biodiversità
Per quanto riguarda invece l’ecosistema, il mercato predilige il miele monofloreale che è di maggior pregio ma ha effetti negativi sull’ecosistema delle campagne. Il miele monofloreale necessita infatti di grandi terreni monocoltura, requisito che non solo altera e limita la biodiversità del sistema, ma obbliga gli apicoltori a spostarsi di campo in campo seguendo il ritmo delle diverse fioriture. Si costituisce così un’apicoltura nomade che fa dei mezzi di trasporto (piccoli o grandi camion) il cuore dell’attività produttiva.
Strumenti e filiera
A questo si aggiungono strumenti, apparecchiature e metodi di lavorazione del miele che a loro volta sfruttano energia, acqua, carburante e risorse naturali. L’arnia stessa, così come i macchinari dell’industria mellifera (smielatori, miscelatori, sistemi di filtraggio) vengono prodotti in una filiera centralizzata che utilizza materie prime vergini, stoccaggio, lavorazione attraverso grandi macchinari e trasporto nei punti vendita.
Agli apicoltori professionisti si aggiunge infine una folta schiera di apicoltori amatoriali (circa il 30% del totale degli apicoltori) che, attirati dall’idea della piccola produzione, seguono le direttive dei più esperti imitandone comportamenti e strumenti.
Per risolvere il problema forse non servono direttive ministeriali o leggi restrittive, ma piuttosto un cambiamento culturale: un’alternativa data dalle scelte di ogni individuo e dalla volontà di non pensare per forza in grande, ma diversamente.
Ma può esistere un sistema alternativo di apicoltura? È possibile creare un modello che rispetti le api e l’ecosistema, che rinunci a smielatori e miscelatori?
Un cambio di paradigma
In effetti esiste un metodo che garantisce il benessere delle api, produce un miele di maggiore qualità e ha, al contempo, effetti positivi sull’ambiente. In Italia chi promuove da anni questo paradigma è Potere allo Sciame, progetto interno alla Scuola Ambulante di Agricoltura Sostenibile che, attraverso comunità di pratica, mette a sistema conoscenze ed esperienze sul campo per migliorare di volta in volta arnie e processi. A loro va il merito di aver realizzato nel nostro paese l’arnia TOP BAR, una semplice struttura a forma di trapezio fatta solo con legno di scarto, senza telaini interni ma con qualche listello di legno sulla superficie a cui far appoggiare i favi. Proprio partendo questa struttura è stato ripensato il modo di fare apicoltura.
Il modello si fonda sulla tutela del benessere dell’ape assecondandone i comportamenti naturali e così facendo innesca un circolo virtuoso di cui beneficiano produttori, consumatori e l’ecosistema circostante.
“Potere allo Sciame non blocca la naturale sciamatura delle api, non sostituisce le api regine, non alimenta artificialmente le api” mi spiega GianMario Folini, agente territoriale di sviluppo, “Anzi, la prassi vuole che si lasci nell’arnia addirittura il 20% del miele per lasciare alle api il nutrimento nei mesi invernali.” Al miele si affianca in maniera naturale una produzione contestuale di cera, polline e nettare di alta qualità, che non affatica il produttore.
Biodiversità
Altro grande scostamento sta nel metodo di produzione del miele. Il progetto ha scartato l’opzione monofloreale, tutelando la biodiversità dei territori ed eliminando alla radice l’annoso problema del nomadismo. Il lassaire faire delle api non solo fa contente le api ma anche gli apicoltori: “Non dovendole controllare e limitare, gli apicoltori lavorano meno e ciò genera una riduzione dei costi di trasporto, delle ore lavorate e minor stress nella vita dei lavoratori”. Questa scelta vede l’appoggio degli apicoltori comuni: anche loro nel frattempo stanno puntando sul miele millefiori, investendo sforzi per promuoverne il valore gastronomico e organolettico.
Il miele
Infine la rivoluzione più grande, che rivede la nostra concezione del miele. Nel sistema TOP BAR il prelievo del miele viene effettuato solo una volta, prendendo tutto il favo e vendendolo così, grezzo. “Il miele non si succhia, si mangia!” racconta il signor Folini, specificando “cera compresa, che ha proprietà officinali”. Questo porta ad avere una produzione di maggiore qualità, dato che si ha l’opportunità di gustare un favo maturo nella sua unicità senza che venga miscelato con altri ed elimina alla radice quei processi di smielatura, centrifugazione, filtrazione e miscelazione che richiedono acqua, energia e macchinari e utilizzo di mezzi pesanti.
Apicoltori amatoriali
Questa revisione rende di fatto accessibile l’apicoltura con TOP BAR anche agli apicoltori meno esperti in città e in campagna. Proprio agli amatori si rivolge il nostro testimone quando spiega che “il vero cambiamento, la vera tutela dell’ecosistema non lo fanno gli apicoltori professionisti con decine di arnie nello stesso terreno, ma i piccoli apicoltori sparpagliati nelle varie valli, che con qualche piccola arnia si fanno custodi di un territorio più vasto!”
Un’apicoltura diffusa e condivisa affidata alla comunità diventa uno strumento di tutela e valorizzazione e di un patrimonio come quello delle api e della loro funzione di impollinazione.
Un volano per il business
Ma per quanti vogliano farne un business, invece, sarà sostenibile economicamente? A quanto pare sì. C’è posto per tutti nel business del miele: l’Italia, lontana dall’essere autosufficiente, è il sesto paese al mondo tra gli importatori di miele dall’estero, rifornendosi principalmente dall’Ungheria.
Questa tecnica di lavoro rappresenta in effetti un piano di business a basso investimento iniziale, un’ottima opportunità di occupazione per i giovani o per gli agricoltori che vedono nell’apicoltura un progetto complementare. Ma il valore indiretto sembra essere ancora più interessante, se si pensa all’apicoltura naturale come spunto per attività didattiche, per la cooperazione con aziende agricole adiacenti oppure come elemento nella valorizzazione turistica dei territori.
Anche in questo settore, Villaggio Saggio vede una possibilità di crescita culturale, sociale ed economica.Localmente è possibile realizzare progetti di sostentamento e di consumo a km0. Non solo, unendo questa attività a produzioni orticole è possibile sostenere i bisogni locali abbinandoli ad un trasporto sostenibile.
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